Del relitto di Capomulini avevo sentito parlare più volte. Certo, tra leggende e pseudoverità subacquee, non avevo mai avuto la possibilità di esplorarlo personalmente e, per questo, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo.
Di certo, quando costeggiavo in gommone il litorale che da Catania oltrepassa Aci Trezza in direzione Acireale, Vincenzo Campanella, quasi ad interpretare il mio desiderio, mi faceva capire che prima o poi le autorizzazioni sarebbero arrivate.
Già, trattandosi infatti di un sito posto sotto tutela archeologica, erano necessari i Nulla Osta della Sovrintendenza del Mare e dalla Capitaneria di Porto di Catania che avrebbero consentito di effettuare immersioni altrimenti interdette.
Per quale motivo però quel luogo è ambito dalla comunità dei subacquei della quale, tuttavia, solo chi è dotato di brevetti particolari può accedervi? Solo il privilegio di poter raggiungere mete per altri proibite ed inimmaginabili?
Non posso nascondere che questo, in generale, non sia una sufficiente motivazione. Nel caso particolare però avvertivo forte l’emozione di poter arrivare lì dove il Mare custodisce gelosamente la Storia da più di Duemila anni.
La presenza di quel relitto era stata segnalata nel 2009 ed esso fu completamente rilevato nel 2016 anche grazie all’apporto di qualche subacqueo locale, competente ed esperto, che aveva cooperato con la Soprintendenza del Mare per definire la caratterizzazione e lo stato di conservazione di quel giacimento archeologico.
Quest’ultimo, fra i più ricercati ed ambiti d’Italia, “vive” su un fondale compreso fra i 55 metri ed i 70 mt ed è caratterizzato dalla presenza di centinaia di anfore, di cinque diverse tipologie, contenenti probabilmente vino e databili fra la fine del II secolo a.C. e la metà del I secolo a.C.
Oggi, dopo circa dodici anni dalla sua scoperta, è stato possibile verificare che il carico anforario è ben visibile e si mantiene integro proprio come gli elementi in piombo delle àncore che sono rimasti nella stessa posizione di giacitura riscontrata nel 2016.
Il relitto, con verosimile certezza, sembrerebbe essere quello di una nave affondata, probabilmente a seguito di condizioni meteo marine avverse, che si è si capovolta con tutti i manufatti non consentendo al materiale ligneo di resistere agli agenti marini.
Osservando la disposizione, la forma e le dimensioni del cumulo, composto da circa 400 anfore di varia fattura, si stima che la nave fosse lunga circa 20 m.
Ad una estremità - quella che dovrebbe essere la posizione della prua – sono visibili le ancore di piombo e le contromarre, mentre nell’altra - probabilmente la poppa - sono presenti dei tubi (forse usati per la sentina) e delle tegole.
Ma ciò che più colpisce è che le anfore, di varie forme, sono divenute un rigoglioso substrato per animali sessili e non e quasi ognuna di esse è ormai diventata una sicura tana per scorfani, gronghi, murene ma soprattutto aragoste.
Certo, la profondità del sito ma, ancora di più, la presenza di corrente, non sono condizioni sempre ideali per affrontarlo; e tuttavia, quando ci si ritrova sul fondo nel punto in cui poche decine di metri ti separano da esso, sembra di essere magneticamente attirati e contemporaneamente circuiti da una diversa dimensione spesso indescrivibile che riesce a farti tornare indietro nel tempo.
Ah, dimenticavo…
Le autorizzazioni sono puntualmente arrivate, Vincenzo me lo ha comunicato con gioia ed assieme a lui ed altri amici il Mare ha offerto la Storia ad i nostri occhi ed alle nostre menti come solo lui sa fare.